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La Grande Fuga – Salute, ricchezza e origini della disuguaglianza in Italia

La Grande Fuga

La fuga più grande nella storia dell’umanità è la fuga dalla povertà e dalla morte

Per migliaia di anni le persone che, favorite dalla sorte, erano sfuggite alla morte nell’infanzia hanno dovuto poi affrontare un’esistenza nella più sconfortante miseria. Grazie al pensiero illuminista, alla rivoluzione industriale e alla messa a punto della teoria microbica delle malattie, le condizioni di vita sono straordinariamente migliorate, il numero di anni da vivere è più che raddoppiato e l’esistenza è diventata più ricca e gradevole. Eppure, un miliardo di persone vive in condizioni economiche appena migliori di quelle dei propri progenitori, vanta livelli di istruzione di poco superiori e può aspettarsi di sopravvivere soltanto un poco più a lungo. Le grandi fughe hanno cambiato radicalmente le cose per quelli di noi che sono diventati più ricchi, sani, alti, robusti e colti dei propri nonni. Ma hanno inciso profondamente anche in senso diverso e meno positivo: perché buona parte della popolazione mondiale è stata lasciata indietro, perché il pianeta è immensamente più disuguale di quanto fosse trecento anni fa. [Angus Deaton]

Angus Deaton è stato premio Nobel per l’economia nel 2015 per le sue analisi sui consumi, sulla povertà e sul welfare. Nel libro “La Grande Fuga – salute, ricchezza e origini della disuguaglianza”, l’autore ripercorre le azioni che, una generazione dopo l’altra, sono state intraprese per rendere l’esistenza meno dura, ma che tuttavia hanno prodotto un incessante oscillare tra progresso e disuguaglianza. Il focus del libro sono i Paesi più poveri, dove il reddito pro-capite non supera i 4.000$ annui. L’ Italia viene poco menzionata e con i suoi 35.000$ di reddito pro-capite medio non viene esaltata, nel bene o nel male, nei capitoli del libro.

L’obietto dell’articolo di oggi è di ripercorrere velocemente le analisi effettuate nel libro, con focus sull’Italia e, in particolare, sul divario tra Nord e Sud.

Il Benessere in Italia

Per capire come stanno le cose è necessario fare il punto sulle condizioni di salute, sul benessere materiale e sulla felicità nel loro insieme. Il primo grafico mette in relazione le aspettative di vita e il reddito pro capite al 2015:

Come possiamo vedere, se ipotizziamo una linea che collega i due punti, questa sarebbe quasi orizzontale. A significare che l’Italia, sia a Sud che a Nord, ha superato il punto di svolta chiamato anche “transizione epidemiologica”. Nei Paesi più poveri, la mortalità dei bambini è ancora molto elevata a causa delle malattie infettive ormai debellate nei Paesi più ricchi grazie allo sviluppo dei vaccini. L’Italia, in realtà, va molto oltre il punto di svolta e si classifica tra i primi al mondo per speranza di vita alla nascita. Dati alla mano ci precede solo Monaco e il Giappone1). La linea orizzontale suggerisce che, appena superata una certa soglia di reddito, la ricchezza non incide più sulle aspettative di vita alla nascita. Questa evidenza ha portato Deaton a sostenere che il merito del crescente benessere non è dovuto solo al reddito, ma anche alla conoscenza. Ovvero, lo sfruttamento pratico delle conoscenze scientifiche, ed in particolare mediche, risulta un componente fondamentale del progresso tanto quanto il reddito. In questo caso possiamo dire che l’Italia è stata brava nello sfruttamento di tali conoscenze e, nonostante l’evidente disuguaglianza di reddito, possiamo affermare che chi nasce al Sud ha le stesse aspettative di vivere tanto a lungo quanto chi nasce al Nord.

Salute e ricchezza costituiscono la base delle analisi sul benessere oggettivo ma, per avere un quadro completo, bisogna affiancarci anche un indicatore qualitativo di benessere, ovvero la felicità delle persone ed infatti il secondo grafico analizza il grado di soddisfazione per la vita in relazione con il reddito pro-capite. La principale fonte informativa in questo campo è l’indagine Gallup 2) che basa i suoi dati sul triennio 2013-2015.  In tale indagine, l’Italia si pone al 50° posto nella classifica e i principali fattori che incidono in questo risultato negativo sembrano essere la disoccupazione giovanile e la corruzione; solo considerare che i nostri vicini di classifica sono il Kyrgyzstan  e il Mozambico.  In Italia, l’ Istat3) calcola tale indicatore, il grado di soddisfazione, con una granularità maggiore e anche qui la differenza tra Nord e Sud non sembra essere rilevante. Su una scala da 1 a 10 il Nord raggiunge un punteggio di 6.9, mentre il Sud si attesta poco dietro a 6.5.

Anche in questo caso la differenza di reddito non incide sul grado di soddisfazione della vita; la ricchezza non protegge dall’ansia, dalla paura e dall’infelicità, né rappresenta un requisito imprescindibile per riuscire a sentirsi felici o a trarre piacere dalla vita quotidiana.

La Vita e la Morte

La salute ha molte dimensioni ed è difficile ricondurla ad un’unica grandezza. Tuttavia ne esiste una facile da misurare e di straordinaria importanza: il semplice fatto di essere vivi o morti. E’ un tipo di informazione di scarso rilievo, ovviamente, per i singoli individui – chi consulta un medico si aspetta certo qualcosa in più di un semplice: “Ok, sei vivo!”. Non è cosi invece per chi intenda occuparsi delle condizioni di salute di gruppi di individui, si tratti di interi popoli o sottogruppi. Un modo consueto di misurare la vita e la morte è guardare a quanto a lungo un bambino appena nato possa sperare di vivere. Si tratta della cosiddetta speranza di vita alla nascita. L’Istat fornisce la serie storica solo a partire dal 2002, per risalire più indietro possiamo utilizzare la banca dati della World Bank4) che tuttavia fornisce solo dati aggregati a livello di Paese. Il terzo grafico evidenzia il trend positivo dal 1960 ad oggi dell’aspettativa di vita in Italia:

La speranza di vita viene calcolata in base alle informazioni relative ai rischi di morte del bambino al momento della nascita e considerando i rischi di morire negli anni successivi, sulla base di quanto noto ad oggi. Come già visto nel primo capitolo, questi rischi oggi sono molto più bassi grazie alle cure dei vaccini. Che la vita si sia allungata di 10 anni in 50 anni è un risultato straordinario, tuttavia bisogna riflettere su un fattore secondario di questo indicatore, ovvero “l’invecchiamento della morte” che passa dai bambini agli anziani. La riduzione della mortalità tra i bambini incide sulle aspettative di vita in misura maggiore della riduzione della mortalità tra gli anziani. Un neonato che corre il rischio di morire, ma poi sopravvive, ha la chance di vivere per molti anni, il che non si può dire per gli anziani.

Per comprendere a fondo tale indicatore, bisogna analizzare i tassi di mortalità per classi di età (quarto grafico). Le curve della mortalità hanno una forma caratteristica che richiama il “baffo” della Nike: hanno un inizio in un punto collocato relativamente in alto, in corrispondenza delle età più giovani; scendono rapidamente fino a raggiungere il loro punto più passo, corrispondente alla mortalità dei bambini di 10 anni; quindi risalgono in modo più o meno regolare con le età successive.

Per poter osservare il fenomeno del “baffo Nike”, in Italia, bisogna utilizzare una scala logaritmica, a conferma che la mortalità infantile è ormai molto bassa. Basta ragionare su un numero, per capire la “grande fuga” italiana dalle malattie epidemiologiche: i morti nella fascia 0-4 anni in Italia nel 2015 sono stati 1.292 contro i 399.505 del 1887 nella stessa fascia [5].

Abbiamo già anticipato il concetto di “invecchiamento della morte“. Oggi, nel 2015 i morti nella fascia 85-89 anni sono circa 100.000 e, come si evince dalla figura 4, la differenza tra Nord e Sud è abissale (ricordiamo che la scala è logaritmica e quindi le differenze sono notevoli). Se prendiamo, ad esempio, l’ultima fascia, al Sud i morti sono 29.898 mentre al Nord 64.087. Per poter analizzare in dettaglio tale fenomeno bisogna considerare due aspetti:

  1. Numerosità della popolazione
  2. Cause di morte negli anziani

Il Nord, con i suoi 27 milioni di abitanti, è sicuramente più popoloso del Sud che si attesta su 14 milioni. Tuttavia, l’Istat fornisce un’ulteriore indicatore sintetico ovvero: il tasso di mortalità ogni 1000 abitanti e, anche in questo caso, il Nord ha un valore superiore (10.5 contro 10.1 del Sud).

La teoria microbica delle malattie ha permesso di eliminare quasi definitivamente il rischio di morte alla nascita, tuttavia esistono ancora molte malattie che causano la morte prevalentemente tra gli anziani. Nei paesi ricchi le principali cause di morte sono da attribuirsi alle malattie cardio-vascolari e al tumore. In Italia, ultimi dati istat disponibili al 2014 sono:

  • Morte per tumore: 86.000 persone al Nord, contro i 35.000 al Sud
  • Morte per malattie cardio-vascolari: 97.000 persone al Nord contro 51.000 al Sud

Per quanto riguarda le malattie cardio-vascolari la medicina sta facendo progressi grazie alle cure dell’ipertensione del colesterolo e alla prevenzione a costi contenuti. Lo stesso purtroppo non si può dire per quanto riguarda i tumori, le cui cure, oltre a non essere sempre efficaci, sono ancora molto costose. Ricordiamo che la “grande fuga” della mortalità infantile è dovuta prevalentemente alla diffusione dei vaccini a basso costo, lo stesso purtroppo non si può dire per il tumore, ed è forse questa la sfida del futuro dei servizi sanitari nazionali.

Nell’ambio della prevenzione sono ormai noti i danni provocati dal fumo, quello che invece balza agli occhi è che al Nord ci si ammala di più di tumore rispetto al Sud. Individuare le cause non è banale, ci sono molti studi on-line, [6] uno interessante riguarda la relazione rispetto a due principali fattori: la dieta e l’ambiente. I tumori possono dipendere da quello che mangiamo, che respiriamo, e da come ci muoviamo e rapportiamo con l’ambiente. Non a caso al Nord l’industrializzazione e l’aumento delle polveri sottili sta facendo molti più danni della “terra dei fuochi”.

Il Denaro

Oltre alla salute, l’altra componente importante per il benessere è il reddito. Vinte le prime battaglie contro la malattia e la morte precoce, anche il tenore di vita cominció a crescere e, da allora, salute e livello di benessere procedettero in larga misura insieme. La crescita economica ha innalzato il tenore di vita e ridotto la povertà, il reddito medio di tutti gli abitanti dal 1820 al 1992 sarebbe cresciuto sette-otto volte. Contemporaneamente, la quota di popolazione mondiale in condizioni di povertà estrema è scesa dall’84 al 24%. Tuttavia, questo aumento del tenore di vita è stato accompagnato da straordinari ampliamenti  delle disuguaglianze di reddito. Anche all’interno di uno stesso Paese, quando il benessere aumenta, non tutti ne beneficiano in eguale misura, cosicché i passi avanti compiuti ampliano spesso le differenze tra individui. Il cambiamento è spesso ingiusto, sia esso positivo o negativo.

Il quinto grafico mette a confronto Nord e Sud sui principali indicatori del benessere materiale: il PIL pro capite, il reddito personale e la spesa per consumi. Il Prodotto Interno Lordo (PIL) misura la produzione totale di un paese e costituisce la base per la determinazione del reddito nazionale. La parte di reddito nazionale a disposizione delle famiglie una volta pagate le tasse è chiamata reddito personale disponibile, mentre la spesa per i consumi è quanto del reddito disponibile è dedicato ai consumi di beni e servizi, la parte restante è il risparmio.

Analizzando il grafico si notano 3 grandi evidenze:

  1. La prima, che non stupisce, è l’enorme disuguaglianza di reddito tra Nord e Sud.
  2. La seconda, riguarda il crollo finanziario del 2008 da cui l’economia italiana non si è più ripresa. Da quel punto in poi, infatti, tutte e tre le grandezze d’interesse si appiattiscono.
  3. La terza, riguarda la linea del consumo pro capite, al Nord è di molto minore del PIL pro capite ma comunque maggiore del reddito disponibile, mentre al Sud la “stranezza” è ancora più marcata, infatti la linea dei consumi è uguale alla linea del PIL.

L’ultimo punto è abbastanza sorprendente, non è un fenomeno registrato da Deaton nel libro e potrebbe evidenziare il fatto che gli italiani non stanno più risparmiando e, inoltre, stanno intaccando quanto già risparmiato. Un’ulteriore lettura del fenomeno, sopratutto per il Sud, potrebbe essere relativa al lavoro nero che spiegherebbe il motivo di un PIL cosi basso e di una linea dei consumi cosi alta rispetto al PIL.

Il PIL presenta diversi inconvenienti in quanto indicatore di benessere; ad esempio, non viene considerato il tempo libero o altri fattori qualitativi. Alcuni economisti sostengono che la crescita economica in passato consistesse essenzialmente nella produzione di un numero maggiore di cose – più case, più camicie, più tavoli, etc. – oggi invece nella produzione di cose migliori. Tuttavia misurare il <<meglio>> è più difficile di misurare il <<più>>.

La mela d’oro del progresso materiale contiene un verme visibile dal grafico precedente: dal 2008 la crescita sta rallentando. Cosa precisamente il rallentamento della crescita del PIL abbia comportato per i cittadini in condizioni peggiori lo si può scoprire esaminando il sesto grafico sui tassi di povertà.

Il grafico mostra la proporzione dei poveri (incidenza), cioè il rapporto tra il numero di individui in condizione di povertà assoluta e il numero individui residenti. Risulta evidente che dal 2008 i tassi di povertà sono in continuo aumento, specie al Sud.

L’evoluzione del reddito può essere analizzata da tre punti di vista diversi: della crescita, della povertà e della disuguaglianza. La crescita si occupa del reddito medio e delle sue variazioni, la povertà dei redditi bassi e la disuguaglianza della dispersione delle risorse tra gli individui. Per avere una visione della disuguaglianza tra la popolazione basti pensare a due numeri:

  • l’1% più ricco degli italiani possiede, oggi, il 25% della ricchezza totale e
  • il 20% della popolazione più ricca raggiunge il 60% della ricchezza totale.

Con la crisi la forbice tra ricchi e poveri si sta allargando, i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri ancora più poveri. Per capire ad un livello di granularità maggiore la disuguaglianza di reddito in Italia è possibile analizzare  la percentuale di popolazione compresa nei quinti di reddito equivalenti (settimo grafico). Le soglie per definire i quinti di reddito equivalente (cioè i quintili) sono determinati a livello nazionale su tutte le famiglie, il che significa che a livello Italia in ogni quinto è racchiuso il 20% delle famiglie. Il primo quintile rappresenta la percentuale di famiglie più povere, mentre il quinto quintile rappresenta la percentuale di famiglie più ricche.

Con riferimento alle famiglie che vivono al Sud, accade che nel 2014 il 36% sta nel primo quintile, mentre appena il 7,4% sta nell’ultimo, cioè rispetto alla media nazionale sono di più le famiglie che stanno nel quinto più povero e meno le famiglie che stanno nel quinto più ricco. Inoltre, si nota come dal 2008 la percentuale di famiglie ricche diminuisce mentre aumenta la percentuale di famiglie povere. Al contrario, al Nord registriamo la situazione opposta, a rimarcare il netto divario a livello di reddito tra il Nord e il Sud.

Per riflettere sui redditi e sulle disuguaglianze, un buon punto di partenza è il lavoro. La maggior parte degli individui si procura le proprie entrate lavorando, e dunque lavoro e salari sono di cruciale importanza per l’entità dei loro redditi. Tuttavia è bene tener presente che il lavoro è solo uno dei fattori di reddito, altri sono ad esempio il patrimonio, i dividendi, gli interessi, etc.

La disoccupazione in Italia è uno dei principali indicatori sotto osservazione, a partire dal 2008 non smette di crescere e le differenze tra Nord e Sud rispecchiano le disuguaglianze di reddito già analizzate. Nell’ambito del lavoro preoccupa  sopratutto la disoccupazione giovanile, nel 2016 risultano disoccupati oltre il 40% dei giovani tra i 15 e i 24 anni. La distribuzione del reddito non può essere ricondotta ad un meccanismo unico come il mercato del lavoro e alcuni economisti sostengono di concepire l’evoluzione del reddito come conseguenza dello sviluppo tecnologico e dell’incremento del livello di istruzione. La tecnologia impiegata sul lavoro richiede competenze e formazione, o forse semplicemente capacità di adattamento, che si acquisiscono con un buon livello di istruzione generale. Gli economisti ritengono che l’accelerazione del progresso tecnico costituisca il motore principale della crescente disuguaglianza tra i redditi da lavoro. In questo scenario la globalizzazione ha avuto un ruolo significativo: molte produzioni realizzate da lavoratori non qualificati sono state trasferite nei Paesi più poveri e numerose imprese hanno spostato all’estero funzioni in passato svolte in Italia. Anche l’immigrazione legale ed illegale è stata considerata responsabile della pressione al ribasso esercitata sui salari dei lavoratori non qualificati. Infine, anche la politica gioca un ruolo importante nella determinazione del reddito. In Italia le autorità statali si occupano, ad esempio, di definire le pensioni minime garantite, oppure di definire i rinnovi dei contratti nazionali del lavoro insieme alle parti sociali. Tuttavia, la vera posta in gioco sono le tasse. Nel 2015 l’Italia si è classificata nella top ten dei Paesi “Dracula” nel mondo, con il 40% di incidenza rispetto al pil.

In Italia è evidente che esiste una preoccupante disuguaglianza tra Nord e Sud sia a livello di reddito che di lavoro, spesso viene citata come la “questione meridionale” ed è un problema politico di complessa soluzione. Ciononostante, quello del Nord, non sembra essere un modello perfetto: l’aspettativa di vita alla nascita è pressoché identica al Sud e l’indicatore di felicità, ovvero il benessere “qualitativo”,  non mostra differenze significative. Al contrario, il Nord ha registrato negli ultimi anni dei tassi di mortalità in età adulta decisamente maggiori del Sud. Bisogna ricordare, come suggerisce Deaton, che l’obiettivo del benessere non è aumentare il reddito ma aumentare gli anni per vivere una vita decente.

Riguardo la ripresa economica, che stenta a ripartire e frena tutta l’Italia a partire dal 2008, riporto le parole con cui Deaton conclude il suo libro:

“In Europa e negli Stati Uniti abbiamo finito con il persuaderci che le cose non possano che migliorare. Tuttavia, molte gravi minacce incombono su di noi. Il cambiamento climatico è la più evidente, e per il momento non vi sono soluzioni chiare politicamente percorribili. Le guerre non sono finite. La scienza è sotto attacco dei fondamentalisti religiosi in vari luoghi del mondo. Può comparire un nuovo morbo in qualunque momento. La crescita economica è il motore della fuga dalla povertà e dalla deprivazione materiale. Sennonché nel mondo ricco stenta a procedere. Quasi ovunque il rallentamento della crescita è stato accompagnato da un aumento delle disuguaglianze. Le grandi concentrazioni di ricchezza possono minare la democrazia. E’ un tipo di disuguaglianza che incoraggia coloro che sono già fuggiti a bloccare alle proprie spalle le vie di fuga appena percorse. Poiché l’avanzamento degli uni può avvenire soltanto a spese degli altri, il rallentamento della crescita rende inevitabili i conflitti distributivi.

Nondimeno sono prudentemente ottimista. Il desiderio di fuggire è radicato nel profondo, e domarlo non sarà facile. E’ probabile che il rallentamento della crescita sia sovrastimato. La rivoluzione dell’informazione e i suoi dispositivi contribuiscono al nostro benessere più di quanto siamo in grado di misurare. Non possiamo aspettarci che si progredisca sotto tutti gli aspetti in ogni parte del mondo, o che ciò accada senza intoppi. Gli eventi negativi sono inevitabili, e le nuove fughe, come le vecchie, portano nuove disuguaglianze. Ciononostante, credo che queste battute d’arresto in futuro saranno superate, come è accaduto in passato.”


Riferimenti:

  1. Stati per aspettativa di vita
  2. Indagine Gallup
  3. Istat
  4. World Bank Data
  5. Focus mortalità bambini
  6. Cause tumori Nord vs Sud

Codice GitHub:

Le fonti e il codice utilizzato sono stati pubblicati al seguente repository: od_la_grande_fuga

La città più pericolosa del Mondo

Ciudad de Juarez

Dal 2008 al 2012, la cittadina messicana al confine con gli Stati Uniti, Ciudad de Juarez, è stata ampiamente considerata il luogo più pericoloso della Terra. Nel 2010, la guerra tra i cartelli della droga ha raggiunto il suo apice con 3.766 omicidi[1].

Durante la lettura della serie di Don Winslow, Il potere del cane e Il cartello, sono rimasto colpito dalla spirale di violenza raccontata presso la cittadina messicana. Ciudad de Juarez è stata a lungo la città con più omicidi al mondo; oggi, dopo essersi spopolata è uscita dalla classifica delle 50 città non in guerra con il più elevato numero di omicidi[2].

Oggi (dati disponibili aggiornati al 2015), la classifica è guidata da Caracas (Venenzuela) con 3.946 omicidi, a seguire Cape Town (Sud Africa) con 2.451 e Fortaleza (Brasile con 2.422).

In termini di Paesi, invece, in testa troviamo il Brasile con ben 21 città presenti nella lista. A seguire il Venenzuela e il Messico. In questa lista non è presente nessun Paese Europeo…

In Europa

Per quanto riguarda l’Unione Europea è possibile analizzare il numero di omicidi per Paese attraverso gli OpenData raccolti e distribuiti da Eurostat.

La mappa di seguito mostra il numero di omicidi intenzionali nel 2014 (ultima serie storica disponibile), distribuiti per Paese dell’Unione Europea. Emerge che al terzo posto dei Paesi piú pericolosi, nell’Unione Europea, troviamo l’ Italia con 475 omicidi, dietro alla Germania e alla Francia.

Chart by Visualizer

…e in Italia

In Italia i principali OpenData sono distribuiti dall’ Istat, che contribuisce a sua volta al progetto Eurostat. Anche dal portale Istat, cosi come già riscontrato dal portale Eurostat,  il numero di omicidi intenzionali in Italia nel 2014 ammonta a 475.

Tuttavia, sul portale Istat, i dati sono presenti con maggiore granularità ed è possibile scendere a livello di regione e città.

Come si può notare, a livello di regioni il dato è fortemente concentrato in Campania, Lombardia e Lazio. Insieme, queste tre regioni, occupano circa il 40% del totale.

Chart by Visualizer

Tornando invece a livello di città, cosi come analizzato per Ciudad de Juarez, le più pericolose in Italia risultano essere, senza sorprese, Napoli (49), Roma (47) e Milano (30). Numeri tuttavia molto distanti da quelli che vengono riportati nella lista delle città più pericolose del mondo.

Chart by Visualizer

Riferimenti:

  1. The most dangerous place on Earth
  2. List of cities by murder rate

Codice GitHub:

Le fonti e il codice utilizzato sono presenti al seguente repository: od-crimini-ita.